Pillole di SpiritualiTà
Il Rosario è, da sempre, preghiera della famiglia e per la famiglia. (San Giovanni Paolo II)
L’abbandono fiducioso di Gesù nelle mani del Padre
di Katiuscia Iacchini
La morte di Gesù rappresenta per l'uomo il momento in cui gli viene, in realtà, data la vita. Nell'oscurità di un orto, in cui l'Uomo-Dio agonizza, il calice della nostra salvezza sta per riempirsi.
San Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica sul Rosario della Beata Vergine Maria, scrive che i misteri dolorosi rappresentano il culmine della rivelazione dell'amore e la sorgente della nostra salvezza. Siamo di fronte all'Amore di Dio.
Gesù si abbandona completamente nelle mani del Padre e ci si mostra in tutta la Sua umanità.
Ma l'aspetto fondamentale sul quale riflettere è che Gesù vive la Croce come Figlio e non come “eroe”.
La Sua risposta al dolore è la chiave di lettura della sua sofferenza nell'orto degli ulivi. Il dolore umano diviene una porta sulla relazione con Dio. Non è un dolore, dunque, fine a se stesso. Quella della Croce è una via, non una meta. È una collocazione provvisoria, come diceva don Tonino Bello.
Nel Getsemani Gesù sperimenta una profonda solitudine, è in preda ad un'angoscia mortale.
La solitudine umana è spesso indescrivibile, in essa abita la paura e Gesù lo sa. Lui, Figlio di Dio, è veramente Uomo e conosce esattamente come ci si sente quando si è soli. Egli ha bisogno dei Suoi amici, ma loro si addormentano. Il Suo dolore lo porta a sudare sangue, in preda ad una assoluta tristezza. La notte del Getsemani contiene, però, una buona novella, perché Gesù, con tutta la fragilità dell'essere Uomo, si unisce a noi profondamente, dandoci consolazione, dischiudendo un nuovo orizzonte di relazione.
L’amore che Gesù ci mostra è una lente per guardare le cose del mondo, per istruire il livello più profondo di vedere tutto. La debolezza della carne vorrebbe ribellarsi al dolore, sempre, ma il “Sì” di Gesù ribalta ogni limite. Nel Getsemani Cristo è in relazione con il Padre nel suo essere completamente uomo, entra nel dolore rimanendo unito al il Padre e a tutta l’umanità. È il momento decisivo della fede. È il momento in cui si vive ciò che decide tutto.
Cristo, prima di finire nelle mani dei crocifissori, prende una posizione davanti a tutto questo: è tribolato e angosciato nel Getsemani, ma sereno di fronte al Pilato e al sinedrio. Avendo accolto la volontà del Padre, può rimanere fermo di fronte alle situazioni più drammatiche e tribolate.
Nella preghiera del Getsemani afferma di avere un'anima triste fino alla morte: Dio che è Vita e pienezza, affronta il nulla della morte.
Prova il vuoto dell'anima, frutto della nostra profonda umanità. Gesù affronta il limite umano che è poi ciò che porta noi a peccare.
Se da una parte noi abbiamo fede, dall'altra c’è la paura, che è esattamente il contrario dell'amore e che ci impedisce spesso di fare il bene. Cristo si consegnerà per contrastare il “no” dei progenitori, i “no” che sono sempre atti di sfiducia di fronte a Dio. Egli va alla radice del nostro problema con Dio: il nostro “io” non vogliamo consegnarlo, non vogliamo credere che Dio sia un Padre.
Ciò che nel Getsemani vediamo è il dialogo di un Figlio con il Padre, di un Figlio che si abbandona, non ad un esigente estraneo con pretese etiche, ma ad un Padre buono. Tutti i nostri peccati nascono quando, nella paura, non ci apriamo alla paternità. Solo Gesù poteva sciogliere l’imbroglio del cuore umano, per poter andare oltre l’angoscia; avevamo bisogno dello Spirito Santo, della relazione tra Lui e il Padre, che fa apparire la luce su ogni nostra battaglia interiore.
Il Signore Gesù, per rendersi solidale con la nostra sofferenza, non ce la spiega, ma la vive sulla Sua stessa carne. Spesso nella vita accumuliamo tanta rabbia perché non ci sentiamo compresi, perché ci sentiamo abbandonati proprio nel momento in cui vorremmo essere sostenuti e accolti. Ci portiamo dentro ferite mai davvero rimarginate, che diventano la bussola per filtrare le umane vicende. Ma Gesù ci insegna come stare in quella solitudine, ci libera della paura di avere paura e ci insegna a non voler comprendere a tutti i costi, ma a fidarsi, non con passiva sottomissione, ma come atto di affidamento. Anche quel buio ci ricorda che abbiamo un Padre che ci offre la possibilità di fidarci alla fine della notte.
La fede, allora, ci permette di trasformare le nostre vite che a volte sembrano senza senso perché avvolte da incomprensibili dolori. Usiamo spesso la fede perché vogliamo stare meglio o non fare i conti con le nostre domande, evitando il Getsemani, addomesticando il disagio della nostra vita. In realtà stiamo usando un dono in modo sbagliato. La presenza di Cristo non ci toglie la fatica, ma ci dona il coraggio di affrontarla.
Il Getsemani di Gesù è il Getsemani di ogni uomo, non lo possiamo evitare. È una tappa della nostra stessa libertà.
Lì possiamo e dobbiamo chiedere con insistenza lo Spirito di figli, per consegnarci al Padre ed essere salvati, non evitando la morte, ma passando attraverso di essa, per poi risorgere definitivamente nella vita eterna.
Ci sono vite luminose che, guardate con attenzione, sono umanamente cariche di sofferenze e di tribolazioni: esse sono gli esempi di tutti quei fratelli e quelle sorelle in Cristo che a Lui si sono affidati completamente per dirigere il timone di una barca in balia degli eventi; sono quelle persone il cui sorriso semplice nel dolore lascia trapelare la luce dell'eternità; sono coloro che stanno sperimentando il Getsemani abbracciati a Gesù.
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